
Prosegue il dibattito sul futuro prossimo dell'università di cui si è parlato nel post precedente (vedi nuovo articolo di Alberto Abruzzese postato su
nim).
Intanto la questione ha assunto linee di analisi importanti che riassumo dal
post di Stefano Cristante sul suo blog:
1. il tema della didattica
2. quello della normativa
3. quello dello studio sui media (che a noi, qui, sta particolarmente a cuore).
Abbasso i toni e vado alla spicciolata. Rimando a prossimi post uno sguardo al futuro.
Un confronto serio ma anche caotico sulla didattica sembra essere particolarmente proficuo. Spesso i modelli e i metodi utilizzati nei veri moduli offrono casistica interessante che varrebbe la pena di diffondere e condividere. Personalmente credo occorra anche guaradre fuori dalle mura domestiche con il modello francese e anglosassone (ma, da studenti erasmus di ritorno anche quello spagnolo ha alcune cose interessanti).
E' evidente che guardarsi intorno porta poi a scoprire come la dimensione delle norme sia rilevantissima. Un esempio per tutti: i dottorandi possono fare lezione?
E non parlo di sfruttamento di lavoro.
Un mio vecchi amico ha fatto il dottorato a Londra e, ovviamente, il dottorato essendo qualificato era a pagamento ma con possibilità di borse e di lavoro interno. Morale: a lui erano affidati a pagamento il supporto di due classi per insegnamenti di base ritenuti utili sia per la possibilità di mettere in connessione saperi giovani (il dottorando è solo di poco più adulto degli studenti), che come acquisizione di bagaglio personale di formazione al fare didattica, che come lavoro di studio e resoconto sui classici della sociologia. Ha poi potuto proporre un lboratorio sulla metodologia di ricerca che applicava per la sua tesi (visual sociology) per sviluppare un progetto di ricerca con studenti - anche questo, poichè approvato, era pagato.
Insomma: la base è la ricerca (personale, di un laboratorio, di un gruppo) e da qui si parte.
In Francia (altro racconto di vita vissuta): ci sono moduli di base (teorie dei media ad esempio) che vengono ritenuti fondamentali per un sapere minimo degli studenti (poniamo nelle scienze della comunicazione).
E' risaputo: nessuno (o quasi) vuole insegnare cosa basiche.
Il modulo viene costruito dai docenti del dipartimento di pertinenza che si occupano dei media. Si definiscono obiettivi di apprendimento. Si definiscono autori di riferimento, teorie, ecc. Poi ogni due anni si turna (tra questi esperti) nell'insegnamento di quel modulo (con aggiornamenti del caso).
In pratica si decide in modo collettivo la dimensione minima dei saperi nei quali immergere studenti del (poniamo) primo anno in formazione e si riservano moduli più avanzati nel quale il docente porta il suo stretto punto di vista a confronto.
Due esempi stupidi se volete ma che insegnano che il problema della didattica, delle norme e dello studio sui media sono intrecciati.
Quindi: dividiamoli sul piano analitico ma cerchiamo di capire le linee di profondità e la portata sistemica (ecologica?) del mutamento.