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I media mondo

martedì, febbraio 27, 2007

Salve. Mi chiamo Henry. E sono un fan.



E' ufficiale. La traduzione italiana del volume di Henry Jenkins Fans,Bloggers, and Gamers: Media Consumers in a Digital Age passa di qui.
Il fatto di dovermi occupare in prima persona della revisione del bel lavoro di traduzione di Bernardo Parrella fa si che la riflessione sul lavoro di Jenkins sia più serrata.
Abbiamo così deciso con Fabio Giglietto e Luca Rossi di sincronizzare i post sui tre blog per commentare la novità partendo da quanto Jenkins scrive nella introduzione al suo lavoro.

Il volume apre la riflessione anche in Italia sulle culture partecipative ridisegando il ruolo che gli "spettatori" dei media hanno sulle culture mediali e sulle pratiche di produzione e diffusione di prodotti culturali.
Come sostine HJ:
Oggi la cultura partecipativa è tutt’altro che marginale o sotterranea. I racconti di fantasia creati dagli appassionati sono reperibili in grande quantità e variazioni da chiunque sappia come usare Google. I produttori mediatici frequentano i forum di discussione sul Web, come “Television without Pity”, buttando qualche proposta qua e là per vedere le risposte degli spettatori, misurandone le reazioni a volte controverse nella trama narrativa. Le aziende di video game offrono libero accesso ai propri strumenti per il design, pubblicizzandone i risultati migliori e assumendo i programmatori dilettanti più in gamba. Si ritiene che la distribuzione e la sottotitolazione dei fumetti di anime, curate dagli appassionati, abbiano stimolato la nascita del mercato delle importazioni culturali asiatiche. E meetup.com, nato come spazio riservato ai collezionisti di Beanie Babies, dimostrò per la prima volta il suo impatto nell’azione di lobby dei fan di X-Files per tenere in onda lo spettacolo, fino a diventare una risorsa centrale della campagna presidenziale Usa del 2004. È normale venire a sapere della denuncia di qualche azienda mediatiche ai danni dei consumatori, nel tentativo di costringerli alla sottomissione, mentre la comunità dei blogger continua a sfidare l’informazione mainstream e a scuotere il mondo politico.


Il passaggio al digitale ha radicalizzato e potenziato la propensione al farsi media (così il mutamento in atto lo abbiamo definito qui).
Ne parliamo nei prossimi *spoiler* sul lavoro.

lunedì, febbraio 19, 2007

YouNiversity (FarsiUniversità)




Ho già partecipato al dibattito sulla mutazione a venire dell’Università (il primo post qui).
Si tratta ora di rilanciare a partire dalla specificità che il dibattito dovrebbe assumere, quella della ineludibile circolarità tra discipline dei media e studenti che gli ultimi anni della culture network hanno evidenziato e della mutazione del panorama mediale - con cui impattiamo socialmente e con il quale le imprese hanno a che fare.
In sintesi ci troviamo di fronte ad un “pubblico” universitario che si colloca sempre più su un versante di rielaborazione della logica produzione/consumo (qui indichiamo la natura di tale mutazione come farsi media). E il mediascape contemporaneo si contraddistingue per le forme crossmediali, per la crescita di significato di produzioni dal basso, per l’attenzione di marketing ed imprese per le conversazioni dal basso, per la capacità delle forme neo mediali di supportare reti sociali…
È sull’onda di questo mutamento di paradigma che anche le forme del fare e del sapere universitario dovranno seguire nuovi percorsi che tengano conto del cambiamento ecologico del sistema dei media (e del mercato) e delle corrispondenti mutazioni negli individui/studenti consumatori e produttori attivi delle culture mediali.
Chi si occupa di media studies non può non sentirsi chiamato in causa.
Lo spunto viene da un post di Henry Jenkins – che mi capita di sentire spesso ultimamente – che sintetizza provocatoriamente (ma realisticamente) le cose in questi termini:
try to imagine what would happen if academic departments operated more like YouTube or Wikipedia, allowing for the rapid deployment of scattered expertise and the dynamic reconfiguration of fields. Let's call this new form of academic unit a "YouNiversity.


L'idea è quella di un modello universitario flessibile e partecipativo - ad-hocratico come riassume bene Bernardo Parrella qui - che incorpora le forme contemporanee delle networked culture.

Tre sono i punti toccati da Jenkins che riassumono il tema.
1. I media studies devono diventare comparativi, aprendo a forme conoscitive sistemiche crossmediali e a forme produttive multipiattaforma. In questo senso occorre ripensare le forme disciplinari tradizionali strutturate attorno a singoli media e ai confinamenti derivanti.

2. Ripensare la distinzione nitida tra forme di produzione e di consumo, fra fare media e pensare i media. Anche sul lato dei prodotti della relazione docenti/studenti, ripensando al rapporto fra produzione di analisi critiche e produzione di prodotti culturali.

3. Dare una risposta alla necessità di pubblica conoscenza dei mutamenti mediali contemporanei che sono profondi e persistenti, facendo si che la produzione di conoscenza accademica non sia autoreferente ma si apra a forme pubbliche di natura discorsiva e partecipata – i blog si presentano, ad esempio, come uno strumento fondamentale perché capaci di essere al contempo al centro del mutamento e di rendere consapevolmente partecipi larghe fette di "pubblico".

I media studies, la mediologia, hanno una centralità nel mutamento che sta avvenendo nel mondo e che verrà nell'università. E un compito: di sincronizzare i due eventi così che il primo non prenda il volo senza l'altro.

lunedì, febbraio 12, 2007

Conversazioni dal basso: logo 2.0

Dopo discussione "dal basso" che trovate qui, eccoci con la versione definitiva del logo del workshop conversazioni dal basso.



Credo che Nicoletta ed Anna Maria abbiano fatto un bel lavoro... che prosegue per pubblicità, gadgets, template...
Sono ben accette idee su queste aree.

Per iscrizioni potete cominciare a segnarvi su upcoming

lunedì, febbraio 05, 2007

3 febbraio 1957



Ha mezzo secolo Carosello, e gli anni si sentono tutti.
Questa anomalia tutta italiana ha sfornato pezzi di immaginario per tre generazioni e bloccato lo sviluppo dei linguaggi pubblicitari per almeno vent'anni.
Tra cartoni italianissimi e slogan ingenui, jingle mielosi e "scenette" vuote di inventiva ha rappresentato un modo di intrattenere ed informare su un mondo dei consumi che andava pervadendo gli spazi di vita.
Per carità, ci sono anche tante belle idee (qua e là). Carosello è forse uno dei programmi più amati dalla generazione dei 40-50enni.
Ma se si trattasse solo dell'effetto alone della memoria di un tempo "mitico" dove i mulini sono bianchi, i pannolini hanno l'immagine di Pippo l'ippopotamo azzurro e il detersivo lava pulcini neri?
Una cosa è la realtà pubblicitaria, un'altra la funzione sociale del programma carosello, un'altra ancora la capacità di produzione di immaginario.
Proviamo a scindere. Pensiamo anche al brutto di Carosello, fuori dalle ipocrisie.

domenica, febbraio 04, 2007

Survivor... di nuovo online




Dopo quasi un mese torniamo alla vita.
Questo blog era sparito da blogger nel passaggio alla nuova versione.
Uno dei mille bug che contraddistinguono questa piattaforma che spero presto di lasciare.
Per un mese nessuno degli autori è riuscito più a postare alcunchè.
Oggi miracolosamente funziona.
Fino a quando?
Non so.
Intanto teneteci d'occhio.
In caso di drammatica sparizione consultate i blog di Fabio e di Luca che, ne sono certo, daranno qualche notizia.
Ci vediamo?